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LOCRI EPIZEFIRI



Salvatore La Rosa
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INDICE PERSONAGGI I 12 EPIGRAMMI (con testo greco)

NOSSIDE

Nosside

[...] e con questo avendo intrecciato
il fresco e profumato giaggiolo di Nosside,
sulle cui tavolette
Eros in persona spalmò la cera...

(Meleagro di Gadara)

Come nel caso di Zaleuco, o degli altri personaggi illustri dell'antica Locri, anche di Nosside, purtroppo, sappiamo ben poco.

Nosside fu, probabilmente, contemporanea di Anite di Tegea (fine IV sec. a.C.) e la sua opera va, quindi, inserita in quello che è il filone dorico-peloponnesiaco della poesia epigrammatica.

Di sicuro i suoi componimenti continuarono ad essere conosciuti, apprezzati e tramandati durante tutta l'antichità, tant'è vero che ancora nella seconda metà del I sec. a.C. Antipatro di Tessalonica (poeta epigrammatico) la inserisce tra le nove Muse terrestri (contrapposte alle nove Muse celesti), ossia tra le più famose e rispettate poetesse dell'antichità greca:

Τάσδε θεογλώσσους Ἑλικὼν ἔθρεψε γυναῖκας
ὕμνοις, καὶ Μακεδὼν Πιερίας σκόπελος,
Πρήξιλλαν, Μοιρώ, Ἀνύτης στόμα, θῆλυν Ὅμηρον,
Λεσβιάδων Σαπφὼ κόσμον ἐυπλοκάμων,
Ἤρινναν, Τελέσιλλαν ἀγακλέα, καὶ σέ, Κόριννα,
θοῦριν Ἀθηναίης ἀσπίδα μελψαμέναν,
Νοσσίδα θηλύγλωσσον, ἰδὲ γλυκυαχέα Μύρτιν,
πάσας ἀενάων ἐργάτιδας σελίδων.
Ἐννέα μὲν Μούσας μέγας Οὐρανός, ἐννέα δ᾽ αὐτὰς
γαῖα τέκεν, θνατοῖς ἄφθιτον εὐφροσύναν.

Queste donne di divin favella allevò con canti l’Elicona
e (lo stesso fece) la vetta macedone della Pieria,
Prassilla, Merò, di Anite, Omero al femminile, la bocca,
Saffo gioiello delle Lesbie dalle belle chiome,
Erinna, la celebre Telesilla e te, Corinna,
che cantasti il temibile scudo di Atena,
Nosside dalla suadente voce femminile ed il dolce canto di Mirtide,
autrici tutte di testi immortali.
Nove Muse (generò) il grande Urano, e nove anch’esse
da Gea generate, gioia perenne per i mortali.

(Antipatro di Tessalonica, Antologia Palatina IX, 26)

Nosside con molta probabilità discendeva da una famiglia appartenente alla nobiltà Locrese ed in uno dei suoi epigrammi (Ant. Palat. VI - 265) ci ha tramandato il nome della madre, Teofili, e della nonna materna, Clèoca; in particolare, in tale epigramma, l'identificazione matrilineare dei rapporti di discendenza ha portato alcuni studiosi a considerare tale descrizione un ulteriore elemento tendente ad avvalorare la possibile esistenza del matriarcato nell'antica polis Locrese o, quantomeno, un'ulteriore conferma dell'importanza del ruolo della donna a Locri Epizefiri. Altri studiosi, invece, pur condividendo le ipotesi relative alla preminenza della figura femminile presso i Locresi, tendono a considerare tale descrizione solo nell'ambito dell'argomento trattato dall'epigramma stesso dove si ricorda l'opera, prettamente femminile, di tessitura di un dono per la divinità, realizzato in ambito domestico dalle donne appartenenti alla famiglia della poetessa.

Nella sua poesia sono riscontrabili affinità (probabilmente volute) con l'opera di Saffo, che la poetessa cita in uno dei suoi epigrammi, e l'elemento femminile risulta essere (quantomeno negli epigrammi che ci sono pervenuti) indubbiamente preponderante.

Ciò, unito al fatto che a Locri il culto di Afrodite era molto diffuso, ha fatto ipotizzare l'esistenza nella colonia greca di un tiaso simile a quello saffico guidato, appunto, dalla poetessa Nosside.

E del resto, tenendo conto che si tratta sempre di supposizioni, l'ideale della vita che Nosside sembra possedere appare ben chiaro nell'epigramma "Nulla è più dolce d'amore..." nel quale l'identità di vedute con il pensiero saffico è più che chiara.

Della sua opera ci sono pervenuti appena dodici epigrammi, di argomento vario; essi sono giunti sino ai giorni nostri grazie alla loro registrazione nella cosiddetta Corona di Meleagro, raccolta di epigrammi di vari autori andata ormai perduta nella sua forma originale ma che, nella sua parte superstite, ha costituito nel medioevo il nucleo fondante per la realizzazione dell'Antologia Palatina.

Meleagro di Gadara, che tale corona compose, la immaginò appunto come una ghirlanda nella quale inserire (intrecciare) i fiori più belli che il prato della poesia greca avesse generato e nel proemio della sua opera indicò per ogni poeta, alla cui opera attinse nella realizzazione della raccolta, un fiore che lo identificasse da intrecciare con quello di tutti gli altri poeti; queste sono le parole che dedica a Nosside di Locri:

[...] σὺν δ᾽ ἀναμὶξ πλέξας μυρόπνουν εὐάνθεμον ἶριν
Νοσσίδος, ἧς δέλτοις κηρὸν ἔτηξεν Ἔρως·

[...] e con questo avendo intrecciato il fresco e profumato giaggiolo di Nosside,
sulle cui tavolette Eros in persona spalmò la cera...

(Meleagro di Gadara, Antologia Palatina IV, 1 9-10)

Parole che, senz'altro, fanno ipotizzare una ben più ampia produzione, rispetto a quanto giunto sino a noi, di componimenti dedicati da Nosside all'amore.

I 12 epigrammi superstiti sono collocati nei libri V (libro dedicato agli epigrammi d'amore - 1 epigramma), VI (dedicato agli epigrammi votivi - 6 epigrammi), VII (dedicato agli epigrammi funerari - 2 epigrammi) e IX (dedicato agli epigrammi descrittivi - 3 epigrammi) dell'Antologia Palatina.

Di tali epigrammi due, in maniera particolare, vanno segnalati: quello già citato dedicato all'amore "Nulla è più dolce d'amore..."(Ant. Palat. V - 170) che appare quasi come un proemio alla sua opera; e quello che comincia con "O straniero..." (Ant. Palat. VII - 718) che sembra possa essere stato il carme conclusivo della sua opera o forse il testo, scritto da Nosside stessa, per il proprio epitaffio.

     

I 12 EPIGRAMMI
l'opera superstite di Nosside

(il testo greco è in formato Unicode; qualora non fosse possibile visualizzarlo correttamente nel proprio browser
basterà cliccare sulle intestazioni dei singoli epigrammi per visualizzarne una versione in formato immagine-jpeg)

(ANT. PALAT. LIBRO V - 170)

῞Αδιον οὐδὲν ἔρωτος· ἃ δ' ὄλβια, δεύτερα πάντα
ἐστίν· ὰπὸ στόματος δ' ἔπτυσα καὶ τὸ μέλι.
Τοῦτο λέγει Νοσσίς· τίνα δ' ἁ Κύπρις οὐκ ἐφίλασεν,
οὐκ οἶδεν κήνα γ' ἅνθεα ποῖα ῥόδα.

Nulla è più dolce d’amore; ed ogni altra gioia
viene dopo di lui: dalla bocca sputo anche il miele.
Così dice Nosside: e chi Cipride non amò,
non sa quali rose siano i fiori di lei.

(ANT. PALAT. LIBRO VI - 132)

Ἔντεα Βρέττιοι ἄνδρες ἀ π' αἰνομόρων βάλον ὤμων
θεινόμενοι Λοκρῶν χερσὶν ὑπ' ὠκυμάχων,
ὧν ἀρετὰν ὑμνεῦωτα θεῶν ὑπ' ἀνάκτορα κεῖνται,
οὐδὲ ποθεῦντι κακῶν πάχεας, οὓς ἔλιπον.

Via dalle grame spalle questi scudi gettarono i Bruzzi,
percossi nella mischia dai Locresi veloci alla lotta,
ora, deposti nel tempio, levan inni al valore di questi,
né rimpiangon le braccia dei vili, che lasciarono privi di sé.

(ANT. PALAT. LIBRO VI - 265)

῞Ηρα τιμήεσσα, Λακίνιον ἃ τὸ θυῶδες
πολλάκις οὐρανόθεν νεισομένα κατορῇς,
δέξαι βύσσινον εἷμα, τό τοι μετὰ παιδὸς ἀγαυὰ
Νοσσίδος ὕφανεν Θευφιλὶς ἁ Κλεόχας.

èra santa, che spesso scendendo in terra dal cielo
visiti il tuo santuario Lacinio fragrante d’incensi,
accetta il peplo di bisso che Teòfili figlia di Clèoca
ha tessuto per te con Nosside, sua nobile figlia.

(ANT. PALAT. LIBRO VI - 273)

῎Αρτεμι, Δᾶλον ἔχουσα καὶ ᾽Ορτυγίαν ἐρόεσσαν,
τόξα μὲν εἰς κόλπους ἅγυ᾽ ἀπόθου Χαρίτων,
λοῦσαι δ᾽ ᾽Ινωπῷ καθαρὸν χρόα, βᾶθι δ᾽ ἐς οἴκους
λύσουσ᾽ ὠδίνων ᾽Αλκέτιν ἐκ χαλεπῶν.

Artemide, che regni su Delo e sull’amabile Ortigia,
riponi in grembo alle Cariti l’arco e le frecce intatte,
purifica il tuo corpo nelle acque dell’Inopo, e vieni
nella casa d’Alceti, a liberarla dalle difficili doglie.

(ANT. PALAT. LIBRO VI - 275)

Καίροισάν τοι ἔοικε κομᾶν ἄπο τὰν ᾽Αφροδίταν
ἄνθεμα κεκρύφαλον τόνδε λαβεῖν Σαμύτας·
δαιδαλέος τε γάρ ἐστι, καὶ ἁδύ τι νέκταρος ὄσδει,
τοῦ, τῷ καὶ τήνα καλὸν ῎Αδωνα χρίει.

Con piacere avrà accolto Afrodite l’amabile offerta
della piccola cuffia che avvolgeva il capo di Sàmita:
è, infatti, di fine fattura e odora lieve del nettare
con cui la dea asperge il bell’Adone.

(ANT. PALAT. LIBRO VI - 353)

Αὐτομέλιννα τέτυκται· ἴδ', ὡς ἀγανὸν τὸ πρόσωπον
ἁμὲ ποτοπτάζειν μειλιχίως δοκέει·
ὡς ἐτύμως θυγάτηρ τᾷ ματέρι πάντα ποτῴκει.
ἦ καλόν, ὅκκα πέλῃ τέκνα γονεῦσιν ἴσα.

Ecco Melinna in persona! Vedi, il suo volto leggiadro
pare che a noi rivolga lo sguardo dolcemente soave.
Come davvero la figlia alla madre in tutto s’assembra.
Com’è bello che i figli assomiglino ai genitori!

(ANT. PALAT. LIBRO VI - 354)

Γνωτὰ καὶ τηνῶθε Σαβαιθίδος εἴδεται ἔμμεν
ἅδ' εἰκὼν μορφᾷ καὶ μεγαλοφροσύνᾳ.
θάεο· τὰν πινυτὰν τό τε μείλιχον αὐτόθι τήνας
ἔλπομ' ὁρῆν· χαίροις πολλά, μάκαιρα γύναι.

Anche da lontano appare riconoscibile l’effigie
di Sabétide, piena di forma e maestà.
Abbandonati a contemplarla: ti par di vedervi di lei
la saggezza e la dolcezza. Lode a te, mirabile donna!

(ANT. PALAT. LIBRO VII - 414)

Καὶ καπυρὸν γελάσας παραμείβεο καὶ φίλον εἰπὼν
ῥῆμ' ἐπ' ἐμοί. ῾Ρίνθων εἴμ' ὁ Συρακόσιος,
Μουσάων ὁλίγη τις ἀηδονίς· ἀλλὰ φλυάκων
ἐκ τραγικῶν ἴδιον κισσὸν ἐδρεψάμεθα.

Passa accanto a me con riso squillante, e poi dimmi
una parola amica: io sono Rintone, quello di Siracusa,
un piccolo usignolo delle Muse; con i flìaci
tragici seppi cogliere un’edera diversa, e mia.

(ANT. PALAT. LIBRO VII - 718)

Ὦ Ξεῖν', εἰ τύ γε πλεῖς ποτὶ καλλίχορον Μιτυλάναν
τᾶν Σαπφοῦς χαρίτων ἄνθος ἐωαυσόμενος,
εἰπειν, ὡς Μούσαισι φίλαν τήνα τε Λοκρὶς γᾶ
τίκτε μ' ἴσαν χὤς μοι τοὔνομα Νοσσίς, ἴθι.

Straniero, se navigando ti recherai a Mitilene dai bei cori,
per cogliervi il fior fiore delle grazie di Saffo,
dì che fui cara alle Muse, e la terra Locrese mi generò.
Il mio nome, ricordalo, è Nosside. Ora va’!

(ANT. PALAT. LIBRO IX - 332)

'Ελτοῖσαι ποτὶ ναὸν ἰδώμεθα τᾶς Ἀφροδίτας
τὸ βρέτας, ὡς χρυσῷ δαιδαλόεν τελέθει.
εἵσατό μιν Πολυαρχὶς ἐπαυρομένα μάλα πολλὰν
κτῆσιν ἀπ' οἰκείου σώματος ἀγλαίας.

Giunte nei pressi del tempio miriam d’Afrodite
questa statua, dalla veste tutta trapunta d’oro.
Ad offrirla fu Poliàrchide, che molti e lauti guadagni
seppe trarre dalla formosità del suo corpo.

(ANT. PALAT. LIBRO IX - 604)

Θαυμαρέτας μορφὰν ὁ πίναξ ἔχει· εὖ γε τὸ γαῦρον
τεῦξε τό θ' ὡραῖον τᾶς ἀγανοβλεφάρου.
σαίνοι κέν σ' ἐσιδοῖσα καὶ οἰκοφυλαξ σκυλάκαινα
δέσποιναν μελάθρων οἰομένα ποθορῆν.

Il quadretto mostra la bella forma di Taumàreta: con arte
raffigurò la grazia altera della giovane dalle tenere ciglia.
La cagnolina di guardia alla casa scodinzolerebbe
al vederti, credendoti la sua padrona stessa.

(ANT. PALAT. LIBRO IX - 605)

Τὸν πίνακα ξανθᾶς Καλλὼ δόμον εἰς Ἀφροδίτας
εἰκονα γραψαμένα πάντ' ἀνέθηκεν ἴσαν.
ὡσ ἀγανῶς ἕστακεν· ἴδ', ἁ χάρις ίκον ἀντεῖ.
χαιρέτω· οὔ τινα γὰρ μέμψιν ἔχει βιοτᾶς.

Nel tempio della bionda Afrodite Callò dedicò questo quadro,
dall’effigie in tutto simile, da lei fatta dipingere.
Che composto atteggiarsi! E quale grazia la pervade!
Salve! Nulla la vita potrebbe rinfacciarti.

 
 

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